- Ariel Shimona Edith Besozzi
DA OBAMA A TRUMP

Mi trovo oggi a ripensare alle sensazioni provate esattamente otto anni fa, in occasione dell'elezione di Obama a presidente degli Stati Uniti ed a confrontarle con quanto mi capita di provare rispetto all'elezione di Donald Trump. Mi piace partire da me, perché credo che le cose avvengono nel mondo a causa e per la forza di quanto provano le persone, delle emozioni che ognuno ha in sé, delle riflessioni condotte, dello scambio che avviene o non avviene con chi ci circonda, la nostra volontà di conoscere, la capacità di fare autocritica e se necessario, di cambiare idea.
Otto anni fa, quando mi svegliai, come oggi, e seppi che Obama stava per diventare il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, piansi, di gioia, fui profondamente commossa, ero convinta che si trattasse di un grandissimo successo, della prova del progresso umano nei secoli. Ricordo che mi scontrai piuttosto violentemente con mio marito che da subito vide la pericolosità insita nell'elezione di Obama. Credo che per la prima volta mi resi conto del fatto che forse avevo un problema con le persone di colore, pensavo fossero buone a prescindere, pensavo fossero vittime a prescindere, pensavo fossero nel diritto di dire, essere, fare qualunque cosa, a causa di ciò che era stato fatto loro. Ho nutrito la mia infanzia con la lettura dell'intera opera di Richrd Wright, l'autobiografia di MalcomX, “Il buio oltre la siepe”... le immagini dei bambini africani con lo stomaco gonfio di fame hanno accompagnato i miei anni alle scuole elementari, come potevo non pensare che un afroamericano alla presidenza degli Stati Uniti d'America fosse la cosa migliore che potesse accadere all'umanità?
Poi c'è stato il famoso discorso al Cairo, infarcito di una retorica buonista e terzomondista che non avrebbe in sé grossi problemi se non il fatto d'essere sostanzialmente assurdo e privo di un contenuto di realtà, se non fosse stato pronunciato dal presidente degli Stati Uniti e se non fosse di fatto un manifesto del disimpegno, del sostegno all'islam e contenesse in embrione l'impegno alla sostanziale modifica dei rapporti tra Stati Uniti e tutti i paesi islamici, tra Stati Uniti ed Israele. Questo discorso frutto ad Obama il Nobel per la pace, tristemente ridicolo se consideriamo l'aumento di conflitti che gli otto anni di presidenza Obama hanno regalato al mondo intero.
Tanto bastò perché esplodessero le così dette “primavere arabe”, da molti salutate come positiva conseguenza delle posizioni degli USA, come risposta “democratica” dell'islam all'apertura dell'occidente. Il mio legame con Israele stava già mostrandomi l'inadeguatezza del presidente Obama, le “primavere” sono state di fatto la presa di potere da parte dell'islam riformato, che non è un islam democratico e pronto ad accogliere la contemporaneità bensì un islam che torna alla lettera del corano e che propugna la guerra santa contro tutti gli infedeli. Israele si trova così ad essere circondata da nazioni in fermento, i finanziamenti ad hamas e ad hezbollah sono molto più cospicui e frequenti. Il disimpegno in Irak lascia spazio ad un disordine sempre più intenso, sfociato negli anni in una lotta senza fine, in Afganistan i Talebani, combattuti dalla precedente amministrazione statunitense, recuperano il proprio potere. L'estremismo islamico si rafforza progressivamente grazie anche all'appoggio delle socialdemocrazie europee alla “visione obamiana”. Sarà l'aggressione alla Libia, dietro spinta franco-statunitense a decretare la diffusione dello stato islamico. L'Egitto ritroverà un equilibrio con la presidenza di Al Sisi che estrometterà la fratellanza mussulmana.
Mentre la Tunisia sembra incapace di recuperare la propria laicità che l'aveva contraddistinta fino alla “primavera araba”. La Siria, in realzione con il rafforamento dello stato islamico in Irak, è precipitata nel caos, il Libano è in costante tensione, la Turchia è ora sotto controllo grazie ad un sostanziale intervento russo. L'Africa è percorsa da una guerra profonda che vede l'islam aggredire le minoranze cristiane che stanno via via sparendo dai paesi a maggioranza islamica.
L'Europa e gli Stati Uniti sono aggrediti da continui attentati terroristici, l'antisemitismo è in aumento ed, in questi otto anni di presidenza Obama, abbiamo assistito ad un progressivo rafforzamento del movimento di boicottaggio ad Israele (bds) all'interno degli atenei statunitensi. Obama ha mostrato più volte la propria ostilità nei confronti d'Israele assumendo anche decisioni assai gravi come quella che ha visto bloccati i rifornimenti per la Kippat Barzel (IronDome), il sistema di autodifesa missilistico d'Israele che, senza produrre vittime, è riuscito a ridurre i danni dei bombardamenti da parte dei palestinesi dalla striscia di Gaza sulla popolazione civile israeliana.
Tutto questo è stato accompagnato da una sostanziale e continua deresponsabilizzazione da parte di Obama, nonché da una ferma determinazione nell'assoluzione a priori dell'islam, attraverso una martellante e sostanziale campagna finalizzata a definire gli attentati terroristici di chiara matrice islamica o semplicemente “attentati” non più terroristici né tanto meno islamici, o, ultimamente addirittura semplicemente come “azioni di folli”.
Certamente non è stato soltanto Barak Hussein Obama, si è trattato di una posizione condivisa dall'ampia maggioranza delle socialdemocrazie europee che, non volendo contrastare il terrorismo islamico e l'aggressività dei paesi arabi che puntano al controllo ed all'egemonia mondiale, hanno preferito fare finta che si tratti di povere persone in cerca d'aiuto... tutto questo è accaduto e sta accadendo, per questo motivo oggi è così facile sentire il desiderio di un cambiamento sostanziale negli assetti di governo del mondo. Inizialmente ho pensato (erroneamente) che Obama stesse facendo un ottimo lavoro dal punto di vista della politica interna, che, a fronte di un disimpegno sul fronte della lotta al terrorismo ci fosse stata una concentrazione di mezzi e di soluzioni per rendere la vita degli statunitensi migliore di prima. A rafforzare i miei dubbi le notizie delle rivolte che hanno coinvolto diverse città e che hanno visto scontri nei quali diversi poliziotti hanno perso la vita, incredibilmente proprio la minoranza afroamericana, sotto la presidenza di un afroamericano stava mostrando un grado di insofferenza che non si vedeva da almeno trent'anni.
Oggi i risultati dell'elezione, vedono la sconfitta non soltanto della candidata alla presidenza ma anche e soprattutto di una partito, di un pensiero, di uno stile di vita, di una dimensione che evidentemente non rappresenta più niente altro che sé stesso. Quella che in Europa, sulla penisola è ben rappresentata dai molti vestiti con il pulloverino di cahsmere, che indossano le scarpette alla moda, con la barba lunga ma molto ben curata (nel caso degli uomini) che si comportano come uomini anche quando hanno la minigonna (nel caso delle donne), che agitano il pugno definendosi “democratici” o a volte addirittura “compagni”, disposti a nessuna rinuncia, pieni di inutili privilegi legati a nessun merito, che però avendo avuto accesso all'istruzione credono sia loro esclusivo diritto dire agli altri come devono, vivere, pensare, parlare, essere...
La vittoria di Trump dimostra che esistono persone, magari poco istruite, che lavorano, vivono, che ancora lottano per cercare di migliorare le proprie condizioni e quelle dei propri figli, che non vogliono rinunciare alla propria libertà, alla propria sicurezza, che non hanno voglia di essere invasi da una nuova massa di persone che ritengono tutto sia loro dovuto soltanto perché sostengono di essere stati “dominati” dall'uomo bianco occidentale. Ci sono persone che apprezzano il fatto che una donna sia bella e faccia mostra di esserlo, che non hanno problemi con la ricchezza, anche se ostentata, che vogliono qualcuno così profondamente motivato nel proprio intento da spendersi in una campagna elettorale che lo ha portato negli angoli dimenticati degli Stati Uniti.
Oggi mi sono svegliata molto presto, il risultato si stava già chiaramente delineando, Trump stava vincendo ed io ho tirato un sospiro di sollievo perché Clinton sarebbe stata il proseguo delle politiche di Obama, perché è una donna furba, scaltra, preparata ma per nulla in contatto con la realtà, che non si è mai voluta misurare con i problemi reali, che ha condotto una campagna su due punti: contro Trump e essere la prima donna presidente degli Stati Uniti. Nessuna delle due cose rappresenta un valore in sé, un merito, un elemento in grado di garantire una migliore qualità della vita alla gente che avrebbe dovuto votarla. Ma soprattutto perché sono certa non avrebbe esitato a muovere guerra contro la Russia spingendo il mondo verso una guerra nucleare dalla quale l'Europa certamente non si sarebbe salvata.
L'immagine di Trump può non piacere, può non piace dal punto di vista estetico, può non piacere come dice le cose che pensa, ma io credo abbia in sé qualcosa di genuino, mi viene da dire di buono.
Il sostegno incondizionato datogli dalle figlie mi è sembrato frutto di una relazione sincera e piena, non si tratta certo di soldi, quelli non sarebbero mancati comunque, si tratta di qualcosa di più forte di più concreto. Le figlie e la moglie di Trump sono tutte bellissime ed io trovo abbiano mostrato una grande forza e generosità a restare sempre accanto a lui, sostenerlo nonostante i commenti misogini che nessuno ha risparmiato loro. La maggior parte delle femministe si è identificata con la Clinton e si è scagliata contro le Trump utilizzando i peggiori stereotipi maschilisti.
Il risultato elettorale mostra fortunatamente che ci sono molte donne serene e non frustrate che non disdegnano di offrire la propria simpatia a donne belle e di successo, pare infatti che le donne in generale abbiano preferito Trump e secondo me hanno preferito la famiglia Trump, fatta di molte ex mogli, figlie, figli, persone sorridenti. Di contro la famiglia Clinton ha mostrato la propria freddezza, ostilità e ipocrisia sia in occasione della presidenza di Bill che negli anni rispetto alle sconfitte di Hillary. Si tratta di modelli, vetero, che non hanno più nulla a che fare con la vita, con il mondo. Non ha senso, secondo me, stare con un uomo che ti tradisce perché vuoi diventare presidente degli Stati Uniti, è meglio che divorzi, che ti rifai una vita, lasciando i pesi a volte si perde peso, si riesce a cambiare la propria visione. Affrontando le proprie frustrazioni si perde la rabbia, il livore e s'impara a ridere di sé, ad essere empatiche. Credo che molto abbiamo da imparare da questo risultato elettorale, credo sia avvincente constatare come avvengono i cambiamenti. Io posso testimoniare come è avvenuto in me, come sono passata dalle lacrime di gioia per l'elezione di Obama al sospiro di sollievo per l'elezione di Trump, chissà quante persone negli USA hanno vissuto qualcosa di simile nel corso di questi otto anni, chissà quante nel mondo.
Ora ciò che spero è che ognuno individualmente ed i popoli collettivamente recuperino la voglia di autodeterminarsi, che ci si riappropri del proprio desiderio di futuro.
I cambiamenti sono opportunità, Obama con la propria ha fatto disastri, lasciamo che Trump, contro le funeste previsioni dei bempensanti, possa con la propria fare meraviglie!
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