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  • Immagine del redattorearielshimonaedith

Scale

Le scale amplificano il rumore dei passi e delle voci, sono il cuore dell’edificio. Elegante, antico, ampio è divenuto involucro di postazioni di plastica ingessate, qualche accenno di legno chiaro troppo liscio e seriale per non risultare insultante per i pavimenti alla veneziana in marmo. Picchietta sulla tastiera e clicca il topino nell’ufficio ricavato a metà tra il piano terra ed il primo piano, scuro, l’impianto dell’aria rumoroso, il controsoffitto di pannelli basso. In estate confortevole e fresco viene scelto con più frequenza ma d’inverno sembra notte tutto il giorno e la maggior parte dei colleghi tende ad evitarlo, se può sceglie di stare altrove. Lei invece riesce ad accogliere ciò che offre, per lei certi giorni il lavoro richiede prevalentemente concentrazione e silenzio così si ritrova a trascorrere lì, a tratti in compagnia, per lo più sola, intere giornate. Concentrata sul testo che sta scrivendo si accorge appena della notifica delle mail, richiama invece la sua attenzione il messaggio perché una parte del suo cervello sa che è necessario prestare attenzione alle richieste dei colleghi, potrebbero avere bisogno urgentemente. E’ arrivata una cliente , deve scendere ad accoglierla, deve consegnare, ascoltare, spiegare. Le scale accolgono il passo rapido e ne amplificano lo scricchiolio, si trova di fronte ad una donna: occhi stanchi, una nuvola di capelli mossi e lucidi, la figura è sottile, elegante nella sua semplicità sotto l’ampia giacca invernale. Lei sorride salutandola ma è difficile imparare a riconoscere il sorriso degli occhi che sono coperti dalla spessa montatura colorata quando il resto del viso è celato da una mascherina nera, così la cliente risponde senza perdere lo sguardo privo di aspettativa, spento. Accade che, non potendo stringere la mano né guardare l’intero viso, la stanchezza di questo tempo mascherati renda ancora più freddo l’incontro tra due persone che devono solo scambiarsi documenti e informazioni. Lei parla, cerca con il tono della voce di rassicurare la cliente che lentamente sembra rilassarsi, si avvicinano all’ampio tavolo che ricorda quelli per i picnic in montagna, al limitare del bosco,le panche in legno sono qui sostituite da sedie di plastica color verde pastello, a lei non piace sedervisi quindi resta in piedi appoggia solo i fogli e lascia che la cliente si accomodi per firmare. L’ampia vetrata che circonda l’area in cui si trova il tavolo si apre sulla splendida piazza che ostinatamente viene predisposta con luci ed immagini natalizie. Si scambiano poche parole ,la cliente ha fretta di tornare a casa, lei capisce che qualunque perdita di tempo non farebbe che rendere ancora più faticosa la giornata di questa donna già evidentemente molto stanca, così s’affretta a compiere le azioni necessarie e conclude l’incontro salutandola. La guarda mentre si allontana attraversando la piazza, mescolata ad altri corpi avvolti in cappotti scuri, mascherati, indistinti; persone cui non è consentito prendere fiato neppure in mezzo alla piazza larga ed assolata. Lei si volta si dirige verso l’interno dell’edificio. Si avvicina alla macchinetta del caffè, preme i tasti e sente il profumo caldo e morbido insinuarsi oltre la mascherina, socchiude gli occhi mentre attende in piedi che la bevanda riempia il bicchiere: è a casa. La sensazione di essere osservata la fa voltare, due occhi chiari gioiosi seguono sorridendo i suoi gesti. Un uomo robusto, capelli bianchi insolitamente folti, vestito in maniera semplice, il corpo robusto, le mani grandi e rovinate di chi non ha mai smesso di lavorare. Gli sorride, lui ricambia sorridendo più di prima. “Posso offrirle un caffè?” Forse non avrebbe dovuto ma in quell’istante profumato di casa l’incontro di quello sguardo vivo e radioso non poteva che produrre un invito “No grazie, fosse graspa...” La risposta giocosa le restituisce la bellezza di essere esattamente lì, in mezzo alla sua gente che non smette mai di sorridere e lavorare e di scherzare e non ha paura di condividere anche quando sembrerebbe impensabile. “Purtroppo non posso...” “Perché?” “Faticherei a riprendere il lavoro, mi fermerai a ciacoare…” “Sarà per la prossima volta.” “Grazie, arrivederci” Sale le scale rapida e non smette di sorridere. Prima di tornare ad immergersi nel suo lavoro fatto per lo più di puntuale insistenza, ricerca e attenzione solitaria, procede oltre, continua a salire, si concede un giro per salutare chi incrocerà. Il piano si apre, la luce rosa del tramonto intona le pareti bianche al marmo lucido e caldo del pavimento che prezioso brilla fiero del suo mosaico immenso. Sul divano verde una coppia di coniugi siede chiacchierando in attesa d’essere ricevuta, in fondo un ragazzo parla al telefono concentrato, attento, le spalle alla finestra ampia di cielo “Ciao” “Ciao” S'incrociano gli sguardi, resta il sorriso. Di nuovo le scale che allargano le voci, i suoi passi si fermano al pianerottolo, infila il suo ufficio che per pochi istanti, prima di ospitare l’oscurità offre il disegno affrescato della facciata di fronte tinta di tramonto. Si siede, le spalle allo spettacolo che procede tra i palazzi antichi, la chiesa bianca, la piazza, il Leone ed il cielo morbido e blu, riprende a lavorare.  



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